Impatto della pandemia sulla salute mentale degli adolescenti
Il monito delle Nazioni Unite
Recentemente, il Comitato dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza presso le Nazioni Unite ha sottolineato i gravi effetti emotivi e psicologici della pandemia da Covid-19 sugli adolescenti, invitando gli Stati membri a intervenire affinché la loro salute mentale diventi componente essenziale dei piani di risposta nazionale alla crisi, con interventi efficaci, ispirati a criteri di giustizia e appropriatezza.
L’impatto della pandemia sugli adolescenti
Mentre nella prima ondata la pandemia ha interessato prevalentemente adulti e anziani, nella seconda si è osservato un notevole aumento di casi tra adolescenti e giovani adulti, aspetto che si è accentuato ultimamente con l’affermarsi della variante del Sars-CoV-2 inizialmente riconosciuta nel Regno Unito, che manifesta maggiore contagiosità nei giovani. Poiché continuano a risultare frequentemente asintomatici, gli adolescenti possono avere un ruolo significativo nella diffusione dei contagi, anche in rapporto all’elevata tendenza alla socialità, alla facilità con cui si spostano autonomamente, alla scarsa attitudine all’ossequio delle regole. Per questi motivi, le autorità governative ne hanno pesantemente ristretto le attività, dalla scuola in presenza alle palestre ai ritrovi. Ne è conseguito che la pandemia ha avuto un impatto importante sulla fascia adolescenziale, ma per la sostanziale modifica dei loro stili di vita piuttosto che per le conseguenze delle infezioni su di loro. Gli effetti più deleteri si sono avuti in adolescenti in condizioni di vulnerabilità preesistenti, quali diseguaglianze sociali ed economiche, malattie croniche, problemi di salute mentale, disabilità, condotte a rischio, famiglie problematiche.
Le cause del disagio degli adolescenti
La pandemia ha sottratto agli adolescenti, ormai da oltre un anno, esperienze di vita, emozioni, avvenimenti, libertà di spostamento e di incontro, tutti elementi che sono funzionali agli specifici compiti evolutivi di questa età, quali la separazione e differenziazione dai genitori e l’esplorazione e l’individuazione di se stessi, attraverso il confronto con gli altri e la società che li circonda, a scuola come in attività sportive, laboratori, centri di aggregazione e ritrovi, locali, strade, piazze. A ciò vanno aggiunti: il contesto generale di preoccupazione per le angosce di malattia e morte; i lutti di persone care o conosciute, anche per le regole anti-contagio che hanno impedito di poter elaborare il dolore; la paura dell’estraneo inevitabilmente generata dalle norme di distanziamento sociale e dallo spettro degli asintomatici contagiosi; le notizie confondenti e inquietanti dei media (“infodemia”); le perdite finanziarie occorse in molte famiglie.
I sentimenti provati
Nelle varie casistiche, gli adolescenti in pandemia riferiscono sentimenti di frustrazione, noia, tristezza, smarrimento, demotivazione, apatia, confusione, amarezza, delusione, scontentezza, perdita del senso di futuro, isolamento e solitudine. Molti narrano un senso di impotenza e sopraffazione da parte di qualcosa di inaspettato, subito e sgradito; una sensazione di “vivere in una bolla”, in sospeso, in perenne attesa della fine del tunnel che non si sa se e quando avverrà; una percezione di destabilizzazione perché non si capisce ciò che si può fare e non fare, ciò che sia giusto o sbagliato.
Le conseguenze
Negli adolescenti in lockdown gli studi condotti in varie parti del mondo hanno riferito nervosismo e irritabilità, sbalzi improvvisi di umore, episodi di rabbia e scatti di ira, comportamenti distruttivi, iperattività, irrequietezza e agitazione, impulsività, regressioni nelle competenze acquisite e dipendenza dagli adulti, insonnia, riduzione dell’autostima, calo di concentrazione e difficoltà di attenzione, esaurimento e stanchezza, insofferenza e rifiuto delle regole e dello studio, tensioni e conflitti nel rapporto con i genitori, rituali per tenere a bada l’angoscia, alterazioni della “regolazione emotiva” (il costrutto che permette all’individuo di modulare e adattare azioni e comportamenti in virtù dei propri stati interni), ansia, depressione, sintomi psicosomatici come cefalea e dolori addominali, ipocondria, fobie e angosce, dipendenza da internet, aumento dell’uso del cyber-sex, aumento di abuso di fumo, alcol e droghe, aggressività e violenza, sia etero-diretta che auto-diretta (autolesionismo e suicidio), peggioramento di situazioni preesistenti di tipo psicopatologico o psichiatrico.
Disturbo Post-Traumatico da Stress
In alcuni casi, la reazione individuale alla crisi sanitaria, sociale ed economica scatenata dalla pandemia da Covid-19 si può assimilare al Disturbo Post-Traumatico da Stress, disturbo mentale che compare in seguito a eventi traumatici, improvvisi, incontrollabili e molto intensi, di tipo collettivo (catastrofi naturali, incidenti aerei o ferroviari, guerre, atti terroristici) o individuale (aggressioni, violenze, lutti, incidenti, malattie) che sovrastino la propria capacità di gestire e regolare le reazioni emotive. La reazione iniziale è di paura, ansia e stato di allarme (“iperattivazione fisiologica”), incredulità e impotenza. La persona ha la necessità di adattarsi al cambiamento ed elaborare l’accaduto, partendo dal rimuginare e riesaminare l’evento allo scopo di comprenderne le cause e riflettervi in modo utile e costruttivo. Se le emozioni e le sensazioni negative non vengono elaborate a livello corticale, restano immagazzinate nella parte primitiva del cervello (il cervello limbico), generando sintomi e comportamenti disfunzionali, che possono essere transitori, mentre talvolta si instaura una sofferenza significativa che va a configurare il quadro psicopatologico del disturbo post traumatico da stress. Fattori di rischio per il suo sviluppo attengono alla vulnerabilità individuale, alle scarse protezioni sociali, al tipo di evento, in rapporto in particolare al grado di rischio percepito per la propria incolumità. Manifestazioni del disturbo post-traumatico contemplano: comportamenti di evitamento di tutto ciò che è collegato al ricordi dell’evento (si tratta di strategie di coping, cioè di adattamento, ma generalmente non mitigano la sensazione di essere ancora in pericolo: si resta sempre come cristallizzati di fronte a una minaccia continua), ricorrenti flashback (nei bambini possono verificarsi sintomi dissociativi, quando alcuni aspetti dell’evento si ripropongono alla mente in modo inconsapevole come fossero reali), incubi o ricordi e pensieri intrusivi sull’accaduto, reazioni di spavento e allarme anche in risposta a stimoli innocui, “iper-arousal” (stato di iper-vigilanza), irritabilità, iperattività, rabbia e aggressività, problemi di concentrazione e di memoria, disturbi del sonno, ideazioni negative su se stessi e sulla vita, irrealistici sensi di colpa, marcata riduzione di interesse per le comuni attività quotidiane o per attività precedentemente gratificanti, limitazione dei rapporti con i familiari e con gli amici, incapacità a provare emozioni positive con possibili sentimenti di distacco ed estraneità dagli altri, crisi di pianto, tristezza e sintomi depressivi, sintomi fisici come cefalea e dolori addominali, confusione, isolamento e ritiro sociale, problemi nella scuola o nel lavoro, possibile associazione con altri quadri psicopatologici come disturbi alimentari, depressione, ansia, disturbo di panico, disturbo ossessivo-compulsivo, dipendenza da sostanze e farmaci, autolesionismo e rischio suicidario. In infanzia e adolescenza, l’impatto del trauma è più grave perché la corteccia cerebrale, sede di ragionamenti e associazioni, non è completamente sviluppata. In questa età, la funzione di attribuzione di un significato agli eventi viene svolta, in modo vicario, dagli adulti significativi (caregiver), sul cui stato mentale il figlio si sintonizza per decidere se debba sentirsi al sicuro o in pericolo. Per esempio è dimostrato che, in caso di catastrofi naturali, l’immagine traumatica ricorrente nei bambini e ragazzi non è quella relativa a scenari di distruzione, ma l’espressione spaventata del volto della madre. Per questo il contesto familiare è determinante per modulare le reazioni al trauma, ridimensionando o amplificando l’impatto dell’evento. Se il genitore elaborerà il trauma, aiuterà anche il figlio a risolvere il disturbo, altrimenti entrambi attiveranno reciprocamente l’iper-arousal l’uno dell’altro, evocando la continua ri-sperimentazione dei sintomi da stress. Nel caso della pandemia, lo sviluppo di una forma di “paura globale” – paura totalizzante percepita da tutti gli appartenenti a un gruppo- ha favorito l’insorgenza di disturbo post-traumatico da stress in bambini e adolescenti.
I comportamenti
Negli adolescenti si sono osservate due reazioni di tipo opposto: la chiusura in se stessi oppure la sperimentazione di una fase di vita spericolata, senza freno, votata all’estrema ricerca di emozioni forti, esperienze eccitanti e comportamenti a rischio.
Il ritiro sociale
Si nota in molti adolescenti a causa della pandemia la tendenza al ritiro sociale, il rifugio in un mondo virtuale avulso dal reale fatto di chat e video-game, il timore di confrontarsi con il mondo esterno, la de-socializzazione. Ai lockdown imposti dal governo ha fatto seguito una sorta di blocco in un “lockdown emotivo”: quella che sui media è venuta alla ribalta come “sindrome della capanna” o “del prigioniero”. Alla base di questo atteggiamento ci sono diverse componenti: la difficoltà a mettere in atto un nuovo meccanismo di adattamento in poco tempo, dopo lo sforzo fatto per conquistare equilibrio e benessere nel confinamento; la presa di coscienza che la vita precedente era altamente stressogena, per cui il tornarvi crea timore, ansia e rifiuto; la fobia del contagio e il disagio per il mondo cambiato dalle nuove regole per evitarlo, es. le mascherine e il divieto di baci, abbracci, vicinanza; l’angoscia e lo stato di perenne allerta che minano il senso di sicurezza necessario a svincolarsi dalle figure genitoriali per investire nelle relazioni con il gruppo dei pari, conquistare l’autonomia ed esplorare il futuro.
Overdose di tecnologia
La pandemia ha causato nei giovani una overdose di tecnologia, essendo diventata il mezzo principale per informarsi, per studiare, per conservare la connessione con gli altri, per intrattenersi e distrarsi con social-network, video-giochi, programmi web di cinema, musica, serie tv, e-sport, cucina, canali di youtubers. Molti i problemi correlati all’abuso di internet che sono stati segnalati: mancanza di concentrazione, perdita di memoria, difficoltà di apprendimento, scarsa qualità del sonno, abbassamento dell’autostima (da continuo confronto con gli altri), disturbi psichici come iperattività, ansia, depressione, senso di alienazione e isolamento, fino alla dipendenza patologica. La socialità digitale espone in particolare i ragazzi a problemi quali iperesposizione, perdita dei confini pubblico-privato-intimo, self-spectacularization, videodipendenza, illusione di avere amicizie che in realtà sono superficiali e inautentiche e dunque non confortanti. Inoltre, l’eccessiva esposizione in rete aumenta il rischio di imbattersi in fake news, malintenzionati, adescamento, stalking, cyberbullismo, cybersex. Né vanno sottovalutati i disturbi fisici da eccessivo tempo passato sullo schermo: obesità, danni alla vista, posture scorrette.
La trasgressione
La reazione opposta all’auto-confinamento è il disprezzo delle regole di mitigazione dell’epidemia. La trasgressione è un atteggiamento comune negli adolescenti in virtù del fatto che il loro cervello è particolarmente sensibile al sistema della dopamina, legato alla ricerca di gratificazione e appagamento immediato del piacere, mentre le funzioni riflessive non sono arrivate a completa maturazione e i ragionamenti risentono ancora di un sovraffollamento di informazioni irrilevanti. Se, da una parte, le caratteristiche del cervello adolescenziale servono a portare alla massima espressione i comportamenti esplorativi, per l’acquisizione di nuove abilità e la risoluzione dei problemi attraverso inedite opzioni creative, dall’altra li espongono maggiormente ai rischi di cui non sono perfettamente in grado di valutare la portata. Nei confronti della pandemia molti giovani hanno messo in atto un meccanismo di rimozione, responsabile di un nocivo abbassamento delle precauzioni. Tale comportamento rientra nel quadro di un fenomeno noto come “panic neglet”: superata la prima fase di shock di fronte a un evento nuovo e inaspettato, subentra il momento della negazione, in cui si rimuove tutto ciò che può creare angoscia. Non più propensi a rinunciare a tutto ciò di cui si sono privati, e in balia dei numeri giornalieri dei contagi, che fanno loro vivere una sorta di “sindrome di accerchiamento” (più i numeri crescono, più aumentano anche le restrizioni), gli individui in preda al “panic neglet” manifestano incredulità, insofferenza, rabbia, ribellione. In particolare, i giovani si sentono i più penalizzati dalle restrizioni, cui trovano assurdo dover sottostare non percependo la malattia come un pericolo per se stessi. A questo stato psicologico se ne affianca un altro, la “pandemic fatigue”: un senso di avvilimento, stanchezza, demotivazione, sconfitta, sfiducia nel rispetto di regole e comportamenti raccomandati per proteggere sé stessi e gli altri dal Sars-CoV-2, causato dal lungo persistere dello stato di emergenza. Questa sensazione di incapacità a esercitare controllo sul futuro comporta il diffondersi di posizioni fataliste, negazioniste o complottiste che, nella loro irrazionalità, ostacolano le misure di salute pubblica.
Cosa fare
Nella devastante crisi mondiale generata dal virus pandemico, gli adolescenti hanno mostrato una specifica vulnerabilità psichica, che impegna in uno sforzo moltiplicato e congiunto le famiglie, la scuola e gli operatori sanitari che si occupano di loro, al fine di prevenire la sofferenza emotiva e intercettare quanto prima i segnali di cedimento per aiutarli ad attivare le migliori strategie di coping. Il supporto agli adolescenti deve esplicarsi a più livelli. Il primo punto è l’implementazione nei giovani delle abilità di resilienza, ossia la capacità di affrontare eventi negativi e stressanti che non è possibile cambiare, adattarsi ad essi e trovare il modo di gestirli, reagire, rialzarsi e superarli, recuperando il proprio stato di benessere nonostante gli ostacoli alla sua realizzazione e anzi continuando a sviluppare le proprie risorse grazie a una riorganizzazione positiva della vita che trasforma l’esperienza traumatica in un’occasione formativa di crescita personale. Il termine viene applicato in psicologia come metafora di un fenomeno misurabile in fisica: l’attitudine di un corpo a resistere senza rotture in seguito a sollecitazioni esterne brusche o durature di tipo meccanico. La resilienza richiede tre grandi capacità: superare lo svantaggio e il rischio, resistere allo stress, riprendersi dal trauma. Per sviluppare queste competenze sono necessarie abilità legate a una buona considerazione de se stessi (rispetto di sé, autonomia, autoefficacia, indipendenza e autostima), socialità (empatia, rispetto per gli altri, tolleranza, gentilezza, equità, onestà, flessibilità, solidarietà e cooperazione, legame e senso di appartenenza al gruppo), organizzazione (definizione degli obiettivi, pianificazione, impegno, motivazione, tenacia, coerenza, autodisciplina, determinazione, intraprendenza), attitudini mentali (pensiero razionale e positivo, disponibilità di strategie per controllare e trasformare stati d’animo negativi e risolvere i problemi). E’ inoltre fondamentale sperimentare figure di riferimento positive dentro e fuori dalla famiglia, con cui si realizzi un solido legame affettivo e di coesione. Ciò è reso possibile dal potenziamento della rete familiare e sociale attorno al ragazzo. In secondo luogo, gli adulti devono essere attenti all’identificazione e riconoscimento precoce di campanelli di allarme che annunciano un disagio esistenziale. I genitori devono essere consapevoli dei rischi cui sono esposti i figli e porsi nei loro confronti in atteggiamento empatico per aiutarli a dare un senso a quanto sta accadendo e ridurre il carico di ansia e stress, senza avere remore a cercare aiuto in figure professionali in caso di sintomi di disagio del ragazzo. Strategie utili sono: conoscere, condividere e monitorare l’attività in rete dei figli, anche con il ricorso a strumenti-filtro per supervisionare i contenuti cui sono esposti in rete i figli (parental control); offrire alternative costruttive di svago e distrazione anche in assenza della facoltà di frequentare luoghi di ritrovo; tutelare un ritmo regolare di sonno-veglia; incoraggiare l’attività fisica nei limiti di quanto consentito dalle norme contro la diffusione dell’epidemia.
Conclusioni
La grande sfida della gestione pandemia è trovare un equilibrio tra la tutela della salute delle persone e della popolazione e l’attenzione ai bisogni psico-emotivi. E’ necessario che i giovani siano responsabilizzati al rispetto scrupoloso delle regole e delle misure di contenimento, ma perché questo accada non può trattarsi di regole imposte dall’altro, bensì vanno coinvolti da protagonisti nella battaglia contro la pandemia, aiutandoli a comprendere il senso del loro sacrificio per proteggere sé stessi e gli altri, i propri familiari e la comunità intera. Nel rispetto delle indicazioni del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, è necessario offrire agli adolescenti l’opportunità di esprimere le proprie opinioni e dare loro dignità di ascolto, affinché siano prese in considerazione nei processi decisionali sulla gestione della pandemia. La promozione della salute non può essere un semplice intervento di informazioni, regole e imposizioni provenienti dall’alto, ma implica il coinvolgimento dei ragazzi nello sviluppare le competenze necessarie a fare scelte libere, giuste ed equilibrate, all’insegna della consapevolezza di avere un ruolo attivo nella società di cui sono parte.
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Dott. Carlo Alfaro
Pediatra e adolescentologo
Ordine dei Medici-Chirurghi della Provincia di Napoli N° 23829
Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi (Na) ove è titolare di Incarico professionale di consulenza, studio e ricerca di Adolescentologia.
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